Breaking Barriers: il docente “Piersoft” spiega perché leggere i numeri è un atto politico e sociale
Un pomeriggio in compagnia dei dati, per fare chiarezza su pregiudizi e stereotipi, ma soprattutto per riportare l’attenzione sulla lettura e analisi dei numeri come competenza indispensabile per una piena cittadinanza digitale. L’incontro online del 2 luglio dedicato ai docenti, nell’ambito del progetto sostenuto da Google.org, Breaking Barriers, ha visto protagonista i formatori Roberto Raspa e Francesco Piero Paolicelli. Quest’ultimo, in particolare, è un esperto di open data e docente universitario, da anni al lavoro con amministrazioni pubbliche e scuole per promuovere la trasparenza, la cultura digitale e l’uso civico dei dati. Diventato “virale” durante la pandemia grazie alle sue analisi sull’andamento dei contagi, ha assunto il nickname “Piersoft” quando aveva 9 anni. “Ho fondato il primo computer club in Italia e mi chiamano così da allora”, racconta.
Come si fa a rendere divertente e accattivante lo studio dei numeri?
“Con Roberto Raspa abbiamo organizzato una staffetta, l’incontro del 2 luglio ha preso avvio dal concetto di dato aperto, fonti, mappe e di come realizzarle. Poi Roberto ha illustrato come popolare i fogli di calcolo di numeri e infine abbiamo dato spazio all’attività laboratoriale. Ho completato la cornice generale con una panoramica sui campi di applicazione dell’analisi dei dati, fra tutti cito l’ambito geo storico ma anche la pianificazione urbanistica, la prevenzione degli incidenti, le politiche sociali sul fenomeno die neet”. Tra i casi analizzati, l’esperto cita la viabilità e tutto ciò che riguarda la circolazione delle persone e dei mezzi: non tutti i comuni italiani pubblicano i dati, quindi fare una programmazione nella viabilità è difficile. “Si pensi a quanto fatto dalla Provincia autonoma di Trento, con i 180 comuni consorziati che condividono le informazioni per animare l’app ufficiale visit Trentino. In questo modo ne aumentano l'attrattività turistica: un turista ha così a disposizione la mappa di acquisti dei mercatini rionali, gli orari e le condizioni degli impianti sciistici, l’altezza dei fiumi, le variazioni meteo in montagna. Si è così creato un ecosistema che sostiene lo sviluppo del territorio e lo rende immediatamente concorrenziale anche rispetto alla vicina Austria: grazie alla condivisione dei dati in tempo reale, il visitatore per mezzo della sua card turistica si muove agevolmente scegliendo la località più agevole da visitare in quel momento”. Ecco come, grazie ad esempi pratici, la lezione è diventata un confronto e uno scambio sempre più coinvolgente per gli insegnanti in collegamento.
L’approccio ha tenuto alta l’attenzione: tanti docenti hanno commentato positivamente, si è aperto loro un mondo, hanno guardato con occhi nuovi un ambito sottovalutato, sebbene fondamentale. Certo, si è trattato di un primo seme: “in questa fase abbiamo dimostrato che strumenti come le mappe di dati possono essere interdisciplinari, applicabili a tante materie differenti. Ad esempio, ricordo una mappa geostorica sulle tribù africane costituite da pallini che corrispondevano a diversi contenuti: un audio, un testo, immagini. I ragazzi che l’avevano realizzata, grazie allo sforzo prodotto, erano molto preparati sugli argomenti. Questa è, a tutti gli effetti, digital literacy! Ma il tema del dato con gli aspetti di natura legale ed etica ad esso correlati emerge in tantissimi casi. Si pensi al tema degli errori dei robot umanoidi di uso bellico: a chi vanno imputati, al programmatore o alla macchina? L’analisi dei dati può servire alla ricerca delle fonti in ambito storico-geografico e matematico, molti giornalisti di dati sono umanisti: si pensi a un data journalist del Sole 24 Ore, Riccardo Saporiti, laureato in filosofia. In molti casi una formazione umanistica consente collegamenti tra materie e discipline anche molto distanti. Stiamo chiedendo alla comunità docente di contemplare gli aspetti multidisciplinari della tecnologia, perché il sapere non si può più dividere a compartimenti stagni”.
Che ruolo deve assumere la scuola nel sostenere una cultura del dato?
Due gli aspetti da considerare, secondo Paolicelli: educare il cittadino per consentirgli di crescere in piena consapevolezza e affinare le competenze. “Tutti i dati nel mondo sono di proprietà dei social network, anche se ci riguardano, perché vengono usati per profilazioni di marketing e per ragioni politiche e sociali. Le piattaforme dove scegliamo di stare sono gratuite ma il loro prezzo siamo noi, le nostre informazioni personali. Oggi siamo bombardati di informazioni a tal punto che si è sviluppata un’infodemia, un eccesso che diventa rumore di fondo. Invece esistono gli open data, che sono utilizzabili da chiunque e pubblicati da fonti universali come enti pubblici o Wikipedia, solo per una motivazione di ordine etico, cioè spirito di condivisione della conoscenza. Un cittadino, il regolamentatore in special modo, deve poterli usare per operare decisioni, come costruire una pista ciclabile, porre limiti ai prezzi al consumo in una certa zona per cambiare la qualità della vita di quartiere. Prendiamo un altro esempio. La mappa geografica dei giovani inattivi, frutto dell’elaborazione dei dati, in passato ha rivelato che certe regioni hanno il doppio di giovani neet rispetto ad altre e che, dunque, necessitano di politiche attive molto diverse. Quando si è in grado di usare bene i dati forniti dalle fonti pubbliche, come l’Istat e la pubblica amministrazione (Istat.it, dati.gov.it) si può cambiare il destino del proprio Paese. Ma mancano le competenze per uno studio del dato, dal fare un grafico fino alla mappa, alla concentrazione, al rapporto! L’Indice Desi vede l’Italia in posizione critica, in Europa, non per i servizi digitali ma per il capitale umano cioè per la capacità di lettura dei dati, tant'è vero che c'è grossa difficoltà a riconoscere le fake news. Il livello del giornalismo italiano e delle fonti di informazioni, dai social alla tv, si è adagiato a questa incapacità. Gli indici di fake news più diffuse e rilanciate vedono l’Italia ai primi posti. E questa condizione eredita le statistiche che vedevano l’analfabetismo funzionale molto diffuso in Italia già venti anni fa. Occorre sollecitare il pensiero critico, applicare il pensiero computazionale alla realtà serve ad andare in profondità. Il coding, making, l’analisi dei dati consentono questo salto. Insomma, ‘che tu sappia che superficie del mare non è il mare’, ha detto il poeta Silvano Agosti”.
Buone notizie: il sistema scolastico italiano beneficia di tante iniziative!
“In questi anni c'è molto interesse attorno ai dati. Il Ministero dell’Istruzione insieme al Dipartimento per le Politiche di Coesione e per il Sud hanno creato il progetto ‘a scuola di open coesione’ che chiede a giovani studenti di presentare analisi dell’impatto sulla collettività delle opere pubbliche: ottimo banco di prova per allenarsi ad essere cittadini consapevoli e critici. Queste iniziative vanno sfruttate al massimo. Va bene rispettare il programma scolastico ma è importante saperlo piegare sull'attualità, renderlo strumento per la crescita dei ragazzi in quanto cittadini. Se gli argomenti vengono trattati trasversalmente vengono capiti meglio, sviscerati a fondo. Gli strumenti digitali permettono di approfondire superando una visione nozionistica, proprio nello spirito della Flipped classroom: un approccio didattico che rovescia l’ambiente di apprendimento tradizionale, spostando alcune attività, come le lezioni frontali, al di fuori dell’aula, spesso attraverso fonti online, per dedicare il tempo in classe ad attività interattive, risoluzione di problemi e discussioni. Oggi la scuola deve essere più trasversale, più fluida, come lo è la società (citando il filosofo Zygmunt Baumann). È importante lavorare sulla famosa cassetta degli attrezzi dei giovani, affinché imparino ad usarli in maniera interdisciplinare. Altrimenti si ha uno scollamento tra realtà e dimensione scolastica”.