Chip Camp, un laboratorio educativo tra AI, logica e prototipazione per la generazione Z
Cinque giorni di scoperta, sperimentazione e collaborazione per avvicinare i giovanissimi al mondo dei semiconduttori, della programmazione e delle tecnologie emergenti. È l’esperienza vissuta da 25 studenti tra i 12 e i 14 anni, grazie al Chip Camp di Napoli "Inside the Future", summer camp gratuito realizzato con Micron Foundation, pensato per alunni della secondaria di primo grado provenienti da contesti sociali fragili.
Una proposta educativa accessibile, immersiva e per l’orientamento
Il progetto nasce con una visione chiara: rendere accessibile e concreta l’educazione scientifica, puntando sul coinvolgimento attivo e sul fare per capire. Nessuna competenza pregressa richiesta, solo la voglia di esplorare: nei laboratori creativi: i ragazzi hanno imparato come funziona un chip e costruito semplici circuiti, guidati da formatori universitari e docenti appassionati.
Le attività hanno coinvolto due istituti comprensivi del quartiere Pianura (Municipalità 9 del Comune di Napoli), 72° Palasciano e Ferdinando Russo, che hanno unito risorse e spazi per ospitare i giovani partecipanti.
Tra le attività più apprezzate:
- La “semiconductor scavenger hunt”, per scoprire i chip negli oggetti di uso quotidiano
- L’esperimento con i limoni, conduttori naturali in mini-circuiti artigianali
- La costruzione di una “Smart Room” simulata con Arduino
- Il laboratorio creativo per “fabbricare un wafer” con materiali alimentari
Dirigenti e docenti: la scuola come spazio aperto alla tecnologia
La dirigente Maria Luisa Salvia del Palasciano, ha sottolineato come la scuola debba aprirsi a esperienze didattiche nuove e diversificate, in grado di valorizzare potenzialità nascoste: “Non si sa dove si cela il talento e abbiamo il dovere di offrire un ventaglio formativo il più ampio possibile. Questo progetto è stato fondamentale per accendere la curiosità, offrire competenze e creare opportunità”. Ha parlato con lucidità anche delle carenze strutturali del territorio: un quartiere privo di cinema, teatri, centri sportivi gratuiti e scuole superiori. Un vuoto formativo e sociale che può diventare fertile terreno per l’abbandono scolastico o, nei casi peggiori, per la criminalità. “Esperienze come il Chip Camp aiutano i ragazzi a uscire di casa, a mettersi in gioco, a scoprire passioni e capacità che a scuola, talvolta, restano invisibili”.
Sulla stessa lunghezza d’onda, la dirigente Antonella Portarapillo dell’IC Ferdinando Russo ha evidenziato quanto il Chip Camp rappresenti una risposta efficace e concreta alle sfide educative contemporanee: “Le opportunità dell’educazione digitale rappresentano la vera sfida per le nuove generazioni e per la scuola italiana. Mai come oggi, la scuola va rinnovata, non soltanto negli ambienti, ma anche nell’ottica di un apprendimento permanente”.
L’entusiasmo e l’interesse dimostrati da studenti e genitori sono stati un indicatore concreto della validità del progetto. La dirigente ha raccolto feedback positivi sull’intera settimana: “Abbiamo avuto una frequenza assidua e consapevole. Molti genitori hanno chiesto di proseguire con attività simili anche durante l’anno scolastico, come affiancamento ai docenti in classe. E sarebbe altrettanto interessante estendere questi percorsi anche ad adulti, genitori e nonni”.
Il professore Giorgio Ventre, direttore scientifico dell’Apple Developer Academy e ospite del camp, ha ribadito la centralità della scuola nel rappresentare il ponte tra competenze e futuro professionale, denunciando però un divario ancora marcato: “La partecipazione femminile a questo tipo di percorsi è ancora troppo bassa, soprattutto al Sud. È una perdita enorme, perché le ragazze hanno creatività e impegno da vendere. Serve una mobilitazione condivisa di scuole, famiglie, aziende e associazioni”.
Voci dal camp: l’impatto sugli studenti
A parlare del valore del progetto sono anche le voci dei ragazzi e delle ragazze. Alessandro, 13 anni, ha trovato nel Chip Camp un modo “per esprimere emozioni con la tecnologia e mettersi in gioco”. Da sempre appassionato di informatica, smonta e aggiusta oggetti a casa con curiosità naturale. David è rimasto affascinato dall’energia nascosta nei limoni. Mattia, invece, ha apprezzato l’esperimento con i cavi collegati a una porta USB per far accendere una mini-lampada “tipo semaforo”. Sonia, 12 anni, ha scoperto Arduino e oggi si sente “più preparata” per usare la tecnologia in modo consapevole. Fabio, 14 anni, ha confermato il suo desiderio di studiare informatica alle superiori. Gianfranco ha apprezzato il lavoro di gruppo sulla presentazione e l’opportunità di presentare il lavoro davanti al gruppo classe.
La dimensione relazionale ha fatto la differenza. Come racconta Luisa Fucito, docente dell’IC Russo: “Ho visto i ragazzi interagire, superare diffidenze iniziali e formare gruppi di lavoro e amicizia in pochi minuti. Al di là delle competenze digitali, il valore umano è stato enorme”.
Anche Ludovica Canzano, docente dell’IC Palasciano, ha osservato un segnale positivo nel crescente coinvolgimento delle ragazze: “Hanno partecipato con entusiasmo, contribuendo con idee e soluzioni. Un passo importante verso il superamento degli stereotipi che ancora legano la tecnologia a un mondo prevalentemente maschile”.
Una nuova generazione digitale consapevole
Il progetto Chimp Camp Napoli è stato anche un’occasione di formazione per i giovani formatori universitari coinvolti. Fabrizio Bove e Luigi Di Giovanni, studenti di informatica alla Federico II di Napoli, hanno guidato i laboratori con grande passione.
“Abbiamo unito teoria e pratica. I ragazzi erano coinvolti, chiedevano, si informavano anche a casa. Non si sono limitati ad ascoltare, ma hanno voluto capire, sperimentare, costruire. È così che si sviluppa un sapere attivo e consapevole”, ha raccontato Fabrizio.
Il Chip Camp è stato utile non solo per le competenze acquisite ma per l’entusiasmo contagioso e la fiducia nel proprio potenziale che si è generata nei giovani partecipanti. È questa la scintilla che Fondazione Mondo Digitale intende accendere in ogni suo progetto: quella che trasforma la tecnologia in uno strumento di riscatto, crescita e libertà.
“Molti di questi ragazzi faranno un lavoro che oggi ancora non esiste", ha detto la dirigente Salvia. "E quando quel giorno arriverà, spero possano ricordare che qualcuno, tanti anni fa, ha creduto in loro. E ha piantato un piccolo seme”.
Per la Fondazione Mondo Digitale ha seguito l'evento e realizzato le interviste Alberta Testa, che ci ha condiviso anche la sua percezione dell''esperienza: "Sono i luoghi come Pianura, le periferie, il Sud, spesso raccontati ponendo l'accento sulle fragilità, piuttosto che sulle potenzialità, quelli in cui il nostro lavoro genera l’impatto più visibile e profondo. Qui, ragazze e ragazzi partecipano con entusiasmo, curiosità e apertura. Come vere e proprie spugne, assorbono ogni stimolo, si pongono domande, sperimentano, si mettono in gioco e mostrano una curiosità autentica nei confronti dei contenuti proposti. Il ruolo dei formatori è stato poi determinante. Hanno affrontato la naturale vivacità del gruppo non come un problema di gestione dell’aula, ma come un’occasione per costruire una relazione fondata sul riconoscimento reciproco. Hanno saputo proporsi in modo orizzontale, come interlocutori credibili e accessibili, mantenendo sempre un equilibrio tra prossimità e autorevolezza".