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Le nuove generazioni che sorprendono

Nonni su Internet al Feltrinelli di Milano

Le nuove generazioni che sorprendono

Le nuove generazioni che sorprendono

Alfabetizzazione digitale e mediatica per gli over 65 milanesi

All’istituto superiore G. Feltrinelli di Milano proseguono gli incontri intergenerazionali di Nonni su Internet che quest’anno si svolgono in sinergia con il progetto europeo e-EngAGEd (Intergenerational Digital Engagement), finanziato dalla Commissione europea (Cerv-2022-Citizens-Civ Project n. 101081537), che mira a migliorare le abilità di alfabetizzazione mediatica, collegate all’uso consapevole delle tecnologie dell’informazione della comunicazione, per contrastare la disinformazione e riconoscere le notizie fuorvianti.

La formazione della classe senior, composta da persone tra i 65 e gli 85 anni, è animata dagli studenti del terzo anno di vari indirizzi. Nell’arco di sette incontri i giovani tutor insegnano i segreti della tecnologia. Tullia Romanelli, referente territoriale per la Fondazione Mondo Digitale, sta seguendo il progetto e ci aggiorna puntualmente sui progressi del percorso. Ecco il suo racconto.

 

“Se noi dovessimo utilizzare una macchina da scrivere, come quelle che usavate voi quando eravate giovani, non ne saremmo assolutamente capaci…davvero non sapremmo da dove cominciare, esattamente come accade a voi con i telefonini!” 

Queste sono solo alcune delle rassicurazioni che gli studenti dell’ITIS Feltrinelli continuano a esprimere ai loro “allievi” più anziani nel corso dei workshop intergenerazionali. Ormai dopo qualche settimana di formazione, tutti i “nonni” esprimono grande soddisfazione per aver imparato qualcosa. Anche solo sentirsi più sereni quando accendono il computer. 

Mentre cammino tra i banchi mi accorgo che anche i ragazzi stanno apprezzando questo percorso. Si può notare dal modo in cui si sono lanciati nelle video interviste con una professionalità degna dei creatori di serie tv per Netflix. Coinvolgono i nonni con una professionalità ammirevole dicendo: “Non si preoccupi, guardi me, non il telefonino”. Sono stata intervistata anche io con il seguente incipit: “Allora prof, ci racconti perché ci troviamo a fare questo progetto, in cosa consiste e come nasce”. 

Per parte mia non so se stranirmi o farmi una risata nell’essere chiamata prof. Penso che questo appellativo meriterebbe una riflessione a sé stante ma mi limiterò a sostenere che ritengo un segnale di grande fiducia nell’istituzione scolastica il fatto che gli studenti chiamino di istinto prof ogni adulto a cui possono chiedere aiuto per risolvere eventuali problematiche. I professori sono per la maggior parte della giornata i punti di riferimento dei ragazzi e chiunque entri a scuola diviene una sorta di “Professore honoris causa”. 

Ma tornando a parlare della formazione; è una altra la qualità che sta emergendo con una forza dirompente: la pazienza. Una pazienza che ha diversi volti. La pazienza di ripetere magari per la quarta volta la procedura per l’inserimento delle credenziali di accesso a una email, la pazienza di cercare soluzioni innovative per fare lo Spid senza scoraggiarsi ai primi tentativi perché, come riporta un giovane studente: “Il signore ci tiene molto”. La pazienza di stare a guardare tutte le foto di un gatto commuovendosi di fronte alla frase: “Sai cara, io ho solo lui a tenermi compagnia a casa”. In sintesi, la pazienza di creare un legame

I legami si creano nell’arco del tempo con la costruzione della fiducia reciproca ma soprattutto con la volontà. E cosa è la pazienza se non la volontà di raccontarsi e di ascoltarsi a vicenda, ognuno con la propria storia? In un mondo in cui l’odio dilaga senza confini e senza senso, essere testimone di una generazione accusata di essere disinteressata, occuparsi di qualcuno fa ben sperare per il futuro. Così al termine dell’incontro di formazione, uscendo per le scale ascolto per caso qualche stralcio di conversazione. Ai commenti sulle verifiche dei prossimi giorni, si uniscono quelli sull’appena terminato Festival per poi ritornare alle notizie del giorno sui giornali. Anche in questo ultimo caso, rimango piacevolmente sorpresa. 

Sono infatti evidenti una lucida analisi delle variabili e al tempo stesso una empatia rare in ragazzi di sedici anni. Mi permetto dunque di azzardare l’ipotesi che queste qualità si siano sviluppate anche grazie al contesto che questi ragazzi frequentano tutti i giorni. Un contesto in cui gli studenti portano cognomi di origine italiana, araba, sudamericana e nessuno lo trova in alcun modo strano. Così come nessuno si stranisce quando i ragazzi ucraini per esprimere più velocemente un concetto parlano tra loro nella propria lingua madre. 

Ecco dunque veder riaffiorare la pazienza, questa volta rivolta ai compagni di scuola. Di saper aspettare un po’ più a lungo che abbiano terminato di esprimere un concetto perché si sa che quello stesso concetto nella loro lingua si dice con altre parole. Così le differenze si annullano con la stessa rapidità con cui la società le crea di fronte alla domanda: “Ti unisci anche tu al gruppo di video making per le interviste?” In questo percorso di formazione dunque si mischiano generazioni, conoscenze e etnie e l’apprendimento va ben al di là del digitale.  

 

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